Prof. Domenico Quaranta “L'arte del passato non esiste più nelle forme in cui esisteva un tempo. La sua autorità si è persa. Al suo posto vi è il linguaggio delle immagini. Ciò che conta ora è chi usa questo linguaggio e a quali fini.” John Berger 1972 01. Introduzione alla cultura visuale 03. Come si diffondono le immagini 07. Immagini operative e intelligenza artificiale 08. L'economia delle immagini nel tardo capitalismo L’insegnamento si propone di introdurre gli studenti del corso di laurea magistrale in “Gestione dei contenuti digitali per i media, le imprese e i patrimoni culturali” al concetto di “cultura visuale” e ai linguaggi, alle forme e alle strategie comunicative sperimentate nell'ambito delle arti visive e della comunicazione dal secondo Novecento a oggi. Nello specifico, lo studente consegue conoscenze sia storiche che teoriche relative ai fondamenti della comunicazione visuale, ai rapporti tra arti visive e comunicazione pubblicitaria, agli sviluppi recenti della cultura visuale in rapporto alle nuove forme e piattaforme della comunicazione (social media, immagini di sintesi, Artificial Intelligence). Al termine dell’insegnamento, lo studente sarà in grado di orientarsi tra le nozioni di base della disciplina, e servirsene tanto come chiavi di lettura nella propria esperienza della cultura visuale contemporanea, quanto come fondamenti storico-teorici del proprio intervento nell’ambito della comunicazione visiva, maturando un’autonomia di giudizio e conquistando una base teorica che gli consenta di arricchire in autonomia la propria formazione su questo fronte, di affrontare con coscienza critica scelte stilistiche ed estetiche, partecipare in maniera proattiva al lavoro di gruppo. Il corso si sviluppa come una introduzione alla cultura visuale, e come un percorso storico-critico all'interno della storia della comunicazione visiva, con particolare attenzione per la storia dell’arte contemporanea. Considerata la vastità degli argomenti il percorso si concentrerà su alcuni case study specifici, e dedicherà una particolare attenzione agli sviluppi più recenti. Nello specifico, partendo dalle premesse teoriche proposte da John Berger nella sua introduzione al vedere e da Nicholas Mirzoeff nella sua indagine della “visual culture”, il corso si concentrerà sulle modalità attuali di creazione e di circolazione delle immagini, affiancando una riflessione sull’uso diffuso e generalizzato dei codici visivi a una esplorazione dei modi in cui questi stessi codici vengono usati, indagati e messi in discussione nell’ambito delle arti visive; cercando di rintracciarne, al contempo, le radici storiche nelle pratiche delle Neoavanguardie degli anni Sessanta, nel détournement situazionista, nelle pratiche di subvertising e culture jamming della comunicazione underground degli anni Ottanta e Novanta, nel Postmodernismo critico e nelle teorie di Nicolas Bourriaud sulla postproduzione. - John Berger, Questione di sguardi, Il Saggiatore, Milano 2009 L’esame si svolge in due parti distinte: un elaborato scritto e una discussione orale. Al termine del corso, agli studenti sarà richiesta la consegna di un breve elaborato scritto (6000 – 8000 battute dattiloscritte) su un tema a scelta concordato con il docente. L'elaborato, che andrà consegnato al docente 15 giorni prima dell’appello di esame selezionato, sarà valutato sulla base della correttezza dei contenuti e della forma del testo e della sua capacità di rivelare il raggiungimento degli obiettivi proposti. Avendo carattere introduttivo, l’insegnamento non necessita di prerequisiti relativi ai contenuti. Può essere utile, qualora non si disponga di una buona formazione di storia dell’arte contemporanea, l’approfondimento preliminare di un manuale sull’argomento (dalle avanguardie al XXI secolo). 01.01. Disordered Attention
Immagine: Rugilė Barzdziukaitė, Vaiva Grainytė, and Lina Lapelytė, Sun and Sea (Marina), 2019. Citazioni: Claire Bishop, Disordered attention: how we see art and performance today, Verso, London - New York 2024 “La differenza più importante, tuttavia, risiede nella condizione fotografica dello spettatore contemporaneo. Inizialmente e con esitazione con le fotocamere digitali negli anni 2000, e poi rapidamente con i telefoni cellulari connessi ad internet nel 2010, siamo arrivati a documentare mentre guardiamo. Questa documentazione riflessa è diventata collettiva, in tempo reale e distribuita. Siamo fisicamente presenti nella performance, ma anche collegati in rete a molteplici altri luoghi. Lo sguardo è ibrido, occupa più spazi e tempi contemporaneamente: siamo presenti con l'opera, interagiamo con chi è nelle nostre immediate vicinanze, ma trasmettiamo anche ad altri che guardano a distanza, in tempo reale o (più spesso) con un leggero ritardo [...] L'opera è meno rilevante, meno totale; ci concede lo spazio per essere mobili e sociali, per reagire, chattare, condividere e archiviare mentre guardiamo.” (p. 11) “Voglio oppormi a questa associazione tra significato e profondità, o a quello che io chiamo modello di profondità della cultura [depth model of culture]. Mentre alcuni oggetti culturali sono longevi e sembrano senza tempo, altri sono leggeri ma hanno il pregio di essere attuali e di suscitare un intenso dibattito [...] Il modello di profondità della cultura è stato scosso dall'ascesa della tecnologia digitale. I meme e la viralità hanno messo in circolazione un nuovo modello di sguardo impegnato, basato sulla quantità e sulla velocità piuttosto che sulla ristrettezza e sulla profondità. La spettatorialità dell'epoca moderna, che si basa su una presenza pienamente concentrata e su un'attenzione profonda, non sembra più appropriata o necessaria. Questo non vuol dire che dovremmo abbandonare la contemplazione e celebrare automaticamente il fast feed. Il punto è che i modi di vedere di oggi non sono tanto dispersi e distribuiti quanto incessantemente ibridi: presenti e mediati, dal vivo e online, fugaci e profondi, individuali e collettivi.” (p. 13) “Questa perpetua oscillazione tra il qui e l'altrove, il consumare e il commentare, è al centro del nostro modo di guardare all'arte e alla performance oggi.” (p. 14)
Cubism and abstract art at MoMA, New York 1936 “In The Principles of Psychology (1890), [William] James offre una definizione dell'attenzione molto disinvolta e sicura, citata ancora oggi: 'Tutti sanno cos'è l'attenzione. È la presa di possesso da parte della mente, in forma chiara e vivida, di uno tra quelli che sembrano diversi oggetti o linee di pensiero simultaneamente possibili. La focalizzazione, la concentrazione, la coscienza sono la sua essenza.' [...] James getta le basi di quella che io chiamo “attenzione normativa” [normative attention] [...] L'attenzione normativa è quindi conforme alle concezioni illuministiche del soggetto moderno come consapevole, razionale e disciplinato. Questo modello è, ovviamente, paradigmaticamente bianco, patriarcale, borghese, coloniale. È sinonimo di proprietà, possesso e padronanza ottica.” (pp. 15-16) “L'attenzione normativa presuppone un soggetto normativo - privilegiato, bianco, etero, abile, volitivo - che conferisce la sua attenzione a un'esteriorità costituita in tal modo come oggetto. Per i soggetti minoritari, il discorso dell'attenzione ha poca rilevanza perché è strutturalmente difficile occupare la posizione di attenzione; storicamente, siamo sempre stati oggetto dell'attenzione altrui. Per inserire queste prospettive in qualsiasi discussione sull'attenzione è quindi necessario uno spostamento terminologico verso i discorsi adiacenti della visualità, come lo “sguardo maschile” e la “cura” (nel femminismo), la “sorveglianza” e la “fuggitività” (nei Black Studies), il “passaggio” e la “realtà” (nella teoria queer e trans), o lo “sguardo fisso” (negli studi sulla disabilità).” (p. 25) “qualsiasi giudizio sulla distrazione tende a essere sostenuto da presupposti ideologici su un'etica del lavoro produttivo, una vita virtuosa e i pericoli del piacere sensoriale. In altre parole, la “distrazione” è più un giudizio morale che una descrizione coerente di come guardiamo e pensiamo.” (p. 25) “In tutta questa letteratura sul cinema, la televisione e i social media, troviamo ripetutamente che la profondità dell'attenzione connota l'“agency” e l'autodeterminazione, mentre la distrazione non solo descrive la sua perdita, ma diventa un modo per denigrare coloro che soccombono alla sua banalità. La distrazione, quindi, non è l'opposto dell'attenzione, ma un'accusa di attenzione sbagliata, rivolta a un altro percepito come carente o vulnerabile.” (p. 27) “L'attenzione e la distrazione sono costrutti culturali che emergono da un insieme di norme e valori tacitamente condivisi. La distrazione non si oppone all'attenzione, ma è un tipo di attenzione: non è individuale e intrinseca, ma sociale e relazionale. Come indicano i meme, la moda, le folle e le tendenze, istintivamente prestiamo attenzione a ciò a cui gli altri prestano attenzione.” (p. 28) “Le mie esperienze di assorbimento totale sono avvenute quasi esclusivamente online, quando mi sono infilata nella tana del coniglio della ricerca, dimenticando il mondo fisico e il tempo che passa. La più grande differenza tra la ricerca di oggi e quella precedente alla digitalizzazione degli anni Duemila non è la profondità, ma la velocità: non mi trovo mai nella situazione di aspettare che un libro mi venga recapitato sulla scrivania e di chiedermi cosa leggere nel frattempo. Il pdf successivo è sempre disponibile e lo sfoglio con l'aiuto di command-F.” (p. 29) Attention Deficit Hyper-activity Disorder (ADHD): “I farmaci per l'ADHD cercano di trattare biologicamente un insieme di condizioni comportamentali e ambientali, rivolgendosi al cervello individuale invece di puntare a una struttura socioculturale più ampia [...] Nel classico stile neoliberale, le diagnosi di ADHD scaricano la responsabilità della distrazione sull'individuo neurobiologico “innocente”, invece di affrontare il problema di un sistema educativo pubblico sottofinanziato, della sanità privatizzata, delle Big Pharma, dell'assistenza all'infanzia inaccessibile e della normalizzazione dell'individualismo competitivo. Come ha dichiarato un medico al New York Times: 'Abbiamo deciso come società che è troppo costoso modificare l'ambiente del bambino. Quindi dobbiamo modificare il bambino'.” (p. 32) “non esiste uno “spettatore ideale”, ma solo un flusso di possibili approssimazioni. Potremmo sentirci obbligati a essere “buoni” spettatori e a tentare di guardare o osservare tutto quello che c'è in una mostra, ma anche sentirci sopraffatti e alienati dalla quantità di materiale che contiene. Potremmo voler essere pienamente presenti a una performance e allo stesso tempo scattare qualche fotografia e un breve video, inviarli ai nostri amici e rispondere ai loro commenti. I desideri e le intenzioni dell'artista entrano continuamente in conflitto con le contingenze della messa in scena e della circolazione e con gli orientamenti e le esigenze del pubblico. Quando nel resto di questo libro parlo di “attenzione”, mi riferisco a questa collisione tra strategie artistiche, convenzioni spettatoriali, inclinazioni individuali e circostanze contestuali impreviste.” (p. 46-47) 01.02. Society of the Psyop
Trevor Paglen, Society of the Psyop, Part 1: UFOs and the Future of Media, in e-flux Journal, Issue #147, September 2024. Approfondimento: Trevor Paglen: Mind Hacking, AI and Psyops Capitalism | Doomscroll (YouTube) “L'intelligenza artificiale generativa, l'Adtech, gli algoritmi di raccomandazione, le economie di fidelizzazione, la ricerca personalizzata e l'apprendimento automatico stanno inaugurando un nuovo rapporto tra gli esseri umani e i media. Le immagini ora guardano noi che le guardiamo, suscitano feedback e si evolvono. Siamo entrati in una cultura visiva proteiforme e mirata che ci mostra ciò che crede che vogliamo vedere, misura le nostre reazioni e poi si modifica per ottimizzare le reazioni e le azioni che desidera. Nuove forme di media producono e persuadono, modulano e manipolano, plasmando visioni del mondo e azioni per indurci a credere a ciò che vogliono che crediamo, per estrarre valore ed esercitare influenza.” “Ogni giorno siamo soggetti a esperimenti di controllo mentale sottili e meno sottili... I media con cui interagiamo cercano di sviluppare un senso - e di apportare alterazioni - alla composizione neurologica unica di ciascuno di noi. Se il paesaggio mediatico del dopoguerra è stato caratterizzato dallo spettacolo, e la fine del ventesimo e l'inizio del ventunesimo secolo da un'era di sorveglianza, stiamo entrando in una nuova fase... La società delle psyop.” 01.03. Le immagini del Telescopio Webb Immagini a campo profondo affiancate degli strumenti MIRI (Mid Infrared Instrument, a sinistra) e NIRCam (Near InfraRed Camera, a destra) del telescopio Webb, un telescopio spaziale per l'astronomia a raggi infrarossi messo in orbita dalla NASA nel dicembre 2021, elaborata e pubblicata dalla NASA il 12 luglio 2022 - La chiamiamo fotografia, ma è frutto di un dispositivo e di un processo di sviluppo infinitamente più complessi di quello fotografico, che combinano tecniche e processualità tipiche dell’infografica e della pittura a quelle della fotografia. “Ogni immagine rappresenta una traduzione dei dati grezzi del telescopio, basati su diverse osservazioni, molte delle quali di luce non visibile all'occhio umano.” è, a tutti gli effetti, un'immagine scientifica. - Webb “vede” circa a 100 milioni di anni dopo il Big Bang. Il dispositivo non si limita a “fotografare” una porzione dello spazio, ma consente anche di “raccontare” il tempo profondo. Modello del James Webb Space Telescope e lo “specchio primario” in costruzione - In quanto “immagine del cielo”, fa parte di una storia di rappresentazioni dell’universo che attraversa tutta la storia dell’uomo, immagini materiali (pictures) prodotte con diversi dispositivi, ciascuna con la sua storia Disco di Nebra, età del bronzo: la più antica rappresentazione del cielo; Vincent Van Gogh, Notte stellata, 1887. Olio su tela, 73,7×92,1 cm Planisfero celeste di Frederik de Wit del XVII secolo; Joan Mirò, Personaggi nella notte guidati dalle tracce fosforescenti di lumache, dalla serie Costellazioni, 1940. Acquerello e gouache su carta, 38x45 cm Thomas Ruff, Sterne (Stars) 1h 55m/–30º, 1989; Sterne (Stars) 16h 30m/-50°, 1989. Le immagini provengono dall'archivio di immagini ottenuto dall'ESO (European Southern Observatory) sulle Ande in Cile; esistevano sotto forma di negativi di dimensioni 29 x 29 cm, e sono state stampate da Ruff in dimensioni 260 x 186 cm. Testo di approfondimento - l’immagine è il prodotto più recente di una serie di sguardi rivolti verso il cielo, ciascuna condizionata da ideologie, modi di vedere, narrazioni cosmogoniche, pulsioni desideranti, paure ecc. Battista Agnese, Mappa Mundi, XVI sec., miniatura; Giovanni di Paolo, La Creazione del mondo e la Cacciata dal Paradiso, 1445 (dettaglio): Dio, Motore supremo, imprime il movimento ai nove cieli. Michelangelo Buonarroti, Separazione della luce dalle tenebre, 1512 circa. Affresco, Cappella Sistina,Città del Vaticano (Roma); Pieter Paul Rubens, L'origine della Via Lattea, 1635 - 1638. Olio su tela, 181x244 cm Galileo Galilei, disegni della Luna realizzati per il Sidereus Nuncius, 1610; Stanley Kubrick, 2001. A Space Odyssey, 1968; Trevor Paglen, PAN (Unknown; USA-207), 2010. C-Print, 60 × 48 in. Dal progetto “The Other Night Sky”. 02. Bruno Latour: Iconoclash Bruno Latour (1947 - 2022), “Cos’è Iconoclash”, dal catalogo della mostra Iconoclash, Zentrum für Kunst und Medientechnologie (ZKM), maggio 2002 | Karlsruhe, Germania. Versione italiana del testo. “Iconoclastia è quando noi sappiamo che cosa sta succedendo nel momento in cui si distrugge qualche cosa e conosciamo le motivazioni che sono dietro a quel che sembra un chiaro progetto di distruzione. Iconoclash invece, è quando non si sa, o si esita, o si è in difficoltà di fronte a un'azione per la quale non c'è modo di sapere, senza ulteriori indagini, se sia distruttiva o costruttiva.” (p. 289) Il secondo comandamento: “Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra” [Exod. 20] “Se le immagini sono così pericolose, perché ne abbiamo così tante? Se sono innocenti, perché scatenano tali e tanto durevoli passioni? Questo è l'enigma, la sospensione, il puzzle visivo, l'iconoclash che noi desideriamo sottoporre allo sguardo dei visitatori e dei lettori.” (p. 294) Albrecht Dürer, Macchina prospettica, 1525 03. Cenni generali di cultura visuale La cultura visuale come indisciplina: “La grande virtù della cultura visuale come concetto è che tende ad essere “indisciplinata”: essa dà il nome ad un oggetto problematico piuttosto che teoricamente ben definito.” (W.J.T. Mitchell 1995) Auguste e Louis Lumière, L'arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat, 1896 - Linguistic Turn (Richard Rorty, 1967): ogni questione filosofica è una questione del linguaggio, che va risolta con gli strumenti della linguistica e della semiotica. Anonimo, Città ideale, 1480 circa, 1896 Il regime scopico (Martin Jay 1988): “Regime scopico indica un ordine visuale non-naturale che opera a un livello pre-riflessivo per determinare i protocolli dominanti del vedere e dell’essere-visti in una cultura specifica e in un’epoca specifica… Il termine “regime” implica qualcosa di vagamente coercitivo, che implica uno sguardo disciplinato e un campo visivo organizzato che permea una cultura… L’era moderna, per esempio, è stata analizzata nei termini di tre distinti, per quanto sovrapposti, regimi scopici: il “prospettivismo cartesiano”, “l’arte del descrivere” e la “ragione barocca”.” (Jay 2008, p. 2) Pietro da Cortona, Trionfo della Divina Provvidenza, 1633-39; Jan Veermer, Il geografo, 1668 - Prospettivismo cartesiano: spazio astratto, ordinato quantitativamente e omogeneo; lo spettatore è “razionale, disincarnato e monoculare” Diego Velázquez, Las Meninas, 1656 circa. Olio su tela, 318×276 cm, Museo del Prado, Madrid Image, picture, metapicture: “Puoi appendere alla parete una picture, ma non puoi appendere una image. Picture è un oggetto materiale, qualcosa che si può bruciare o rompere. Image è ciò che appare in una picture, ciò che sopravvive alla sua distruzione - nella memoria, nella narrativa, in copie e tracce preservate negli altri media… Picture, pertanto, è l’immagine come appare su un supporto materiale o in un luogo specifico… L’immagine (image) non appare mai se non in un certo medium, ma è anche ciò che trascende i media e può essere trasferito da un medium all’altro.” (W.J.T. Mitchell 2007) Jeremy Bentham, Progetto di Panopticon, 1791; Presidio Modelo, Isla de la Juventud, Cuba Giorgio Agamben, Che cos'è un dispositivo, Nottetempo, Roma 2006. Il dispositivo: “Ciò che io cerco di individuare con questo nome, è, innanzitutto, un insieme assolutamente eterogeneo che implica discorsi, istituzioni, strutture architettoniche, decisioni regolative, leggi, misure amministrative, enunciati scientifici, proposizioni filosofiche, morali e filantropiche, in breve: tanto del detto che del non-detto, ecco gli elementi del dispositivo. Il dispositivo è la rete che si stabilisce fra questi elementi...” (Michael Foucault 1977) Robbie Cooper, Immersion, 2008-2014; Todd Deutsch, Gamers, 2005 “Non sarebbe probabilmente errato definire la fase estrema dello sviluppo capitalistico che stiamo vivendo come una gigantesca accumulazione e proliferazione di dispositivi. Certo fin da quando è apparso l'homo sapiens vi sono stati dispositivi, ma si direbbe che oggi non vi sia un solo istante nella vita degli individui che non sia modellato, contaminato o controllato da un qualche dispositivo. In che modo possiamo allora far fronte a questa situazione, quale strategia dobbiamo seguire nel nostro quotidiano corpo a corpo coi dispositivi?” (Giorgio Agamben 2006) Il Kaiserpanorama di August Fuhrmann, 1890; un esempio di “passage” parigino 04. Iconoteche (e la febbre d'archivio) Letture consigliate: Jacques Derrida, Archive Fever. A Freudian Impression, 1995; Hal Foster, An Archival Impulse, 2004 “Siamo "en mal d'archive": bisognosi di archivi. Ascoltando l'idioma francese, e in esso l'attributo “en mal de”, essere "en mal d'archive" può significare qualcosa di diverso dal soffrire di una malattia, di un problema o di ciò che il sostantivo “mal” potrebbe nominare. È bruciare di passione. È non riposare mai, interminabilmente, dal cercare l'archivio proprio dove scivola via. È correre dietro all'archivio, anche se ce n'è troppo, proprio dove qualcosa in esso si anarchizza. È avere un desiderio compulsivo, ripetitivo e nostalgico dell'archivio, un desiderio insopprimibile di tornare all'origine, una nostalgia, una nostalgia del ritorno al luogo più arcaico dell'inizio assoluto. Non c'è desiderio, non c'è passione, non c'è pulsione, non c'è costrizione, anzi non c'è costrizione alla ripetizione, non c'è “mal-de” che possa nascere in una persona che non sia già, in un modo o nell'altro, "en mal d'archive.” Jacques Derrida 1995 “Non ci sarebbe infatti desiderio d'archivio senza la finitudine radicale, senza la possibilità di un oblio che non si limiti alla repressione. Soprattutto, e questa è la cosa più grave, al di là o all'interno di questo semplice limite chiamato finitezza o finitudine, non c'è febbre d'archivio senza la minaccia di questa pulsione di morte, di questa pulsione di aggressione e distruzione.” Jacques Derrida 1995 “Questo impulso generale non è certo nuovo: è stato variamente attivo nel periodo prebellico, quando il repertorio delle fonti è stato ampliato sia politicamente che tecnologicamente (ad esempio, nei fotofiles di Alexander Rodchenko e nei fotomontaggi di John Heartfield), ed è stato ancora più variamente attivo nel dopoguerra, soprattutto quando le immagini appropriate e i formati seriali sono diventati idiomi comuni (ad es, nell'estetica delle bacheche dell'Independent Group, nelle rappresentazioni rimediate da Robert Rauschenberg a Richard Prince e nelle strutture informative dell'arte concettuale, della critica istituzionale e dell'arte femminista). Tuttavia, un impulso archivistico con un proprio carattere distintivo è ancora una volta pervasivo, tanto da essere considerato una tendenza a sé stante, e già questo è un fatto positivo.” Hal Foster 2004 L'appartamento - studio di Sigmund Freud in Bergasse 19 L'Atlas Mnemosyne di Aby Warburg (1929). Versione online Gerhard Richter, Atlas, 1962 - in corso Erik Kessels: In Almost Every Picture; Useful Photography; 24 Hours in Photos Hans Ulrich Obrist, Hans Peter Feldmann, INTERVIEW, 2009 Christian Marclay, Doorsiana (from The body mix series), 1991; The Clock, 2010 John Berger, Ways of Seeing, 1972. Episode 1 - Episode 2 - Episode 3 - Episode 4 “Vediamo solamente ciò che guardiamo. Guardare è un atto di scelta.” (p. 10) Maurizio Cattelan, Comedian, 2019 Seth Price, “Dispersion”, 2002 - in corso. “Che cosa succederebbe se invece fosse diffusa e riprodotta, riducendone il valore quasi allo zero, e aumentandone l'accessibilità? Dobbiamo prendere atto che l’esperienza collettiva è attualmente basata su esperienze individuali simultanee, distribuite attraverso il campo della cultura mediatica, e legate al filo che percorre dibattiti, pubblicità, promozioni e discussioni continue... Seppur nominalmente declinata in uno spazio pubblico, la produzione artistica legata al mercato di massa è abitualmente consumata in forma privata, come nel caso di libri, CD, videocassette, e ‘contenuti’ internet... Un'arte distribuita ad un pubblico più ampio possibile chiuderebbe forse il cerchio, diventando un’arte privata, come ai tempi dei ritratti su commissione. Un'analogia che diventerà più pertinente quando le tecniche di distribuzione digitali miglioreranno la personalizzazione da offrire al singolo consumatore.” “Il problema sorge quando la costellazione di critica, pubblicità e dibattiti intorno all’opera raggiunge un livello di densità pari all'esperienza sostanziale dell’opera stessa. Siamo obbligati a vedere il lavoro di prima mano? Che cosa succede quando una comprensione più intima, meditata e duratura scaturisce più da discussioni mediate attorno a una mostra che dall’esperienza diretta dell’opera? É il consumatore a dover essere testimone, o l’esperienza dell’arte può derivare da riviste, internet, libri e dibattiti?” Hito Steyerl, “In defense of the poor image”, in eflux journal, Issue 10, November 2009 “forse bisogna ridefinire il valore dell'immagine o, più precisamente, creare una nuova prospettiva per essa. Oltre alla risoluzione e al valore di scambio, si potrebbe immaginare un'altra forma di valore definita da velocità, intensità e diffusione. Le immagini povere sono povere perché sono fortemente compresse e viaggiano velocemente. Perdono materia e guadagnano velocità. Ma esprimono anche una condizione di smaterializzazione, condivisa non solo con l'eredità dell'arte concettuale ma soprattutto con le modalità contemporanee di produzione semiotica.” Oliver Laric, Versions, 2009 - 2012. Versions 2009; Versions 2010; Versions 2012 Artie Vierkant, “The Image Object Post-internet”, in JustChillin, 2010 “Nel clima post-Internet, si presume che l'opera d'arte risieda in egual misura nella versione dell'oggetto che si incontra in una galleria o in un museo, nelle immagini e nelle altre rappresentazioni diffuse attraverso Internet e le pubblicazioni a stampa, nelle immagini bootleg dell'oggetto o delle sue rappresentazioni e nelle variazioni di ognuna di queste, modificate e ricontestualizzate da qualsiasi altro autore. Lo stratagemma meno sviluppato per evidenziare la mancanza di fissità rappresentativa è quello di considerare un oggetto da rappresentare (per essere più diretti, presentare) come un altro tipo di oggetto, senza alcun riferimento all'“originale”. Per gli oggetti "after the Internet" non può esistere una “copia originale”.” Brad Troemel, “The Accidental Audience”, in The New Inquiry, March 14, 2013 “L'atteggiamento del pubblico accidentale nei confronti di ciò che vede è profondamente basato sulla visione neoliberale della migrazione culturale, ma la sua volontà di privare le immagini del loro status di proprietà è così aggressiva da meritare un termine a sé stante: anarchismo dell'immagine [image anarchism]. Mentre i fondamentalisti dell'immagine e i neoliberali dell'immagine sono in disaccordo sul modo in cui l'arte diventa proprietà, gli anarchici dell'immagine si comportano come se la proprietà intellettuale non fosse affatto una proprietà. Mentre il neoliberale dell'immagine crede ancora nel proprietario come custode di opere d'arte migrate a livello globale, l'anarchico dell'immagine riflette un'indifferenza generazionale nei confronti della proprietà intellettuale, considerandola un costrutto burocraticamente regolamentato. Questa indifferenza deriva dalla condivisione dei file e si estende ai post di Tumblr decontestualizzati e privi di autore. L'anarchismo dell'immagine è il percorso che porta l'arte a esistere al di fuori del contesto dell'arte.” Domenico Quaranta, “When an Image Becomes a Work. Premesse a un’iconografia di Cattelan”, in Flash Art, gennaio 2012; “La commedia delle immagini”, in Flash Art, aprile 2020. Aidan Walker, “Where Do Memes Come From? The Top Platforms From 2010-2022”, in Know Your Meme, Agosto 2022 Valentina Tanni, Memestetica. Il settembre eterno dell'arte, Nero Editions, Roma 2020. Video presentazione; The Great Wall of Memes, 2012 - in corso Kate Durbin, Hello Selfie, 2014 Letture consigliate: Nicholas Mirzoeff, Come vedere il mondo, Johan & Levi, Milano 2017; Shumon Basar, Douglas Coupland, Hans Ulrich Obrist, The Extreme Self, König, Köln 2021; Kamilia Kard, Arte e social media. Generatori di sentimenti, Postmedia Books, Milano 2022 Diego Velasquez, Las Meninas, 1656. Museo del Prado, Madrid; Élisabeth-Louise Vigée Le Brun, Autoritratto con la figlia (1789). Museo del Louvre, Parigi; Maria Antonietta con la rosa (1783). Castello di Versailles. “Il selfie è l'esempio più eclatante di come attività un tempo elitarie siano diventate parte integrante della cultura visuale globale.” (p. 25) "Il selfie è una performance digitale che riunisce l'immagine di sé, la tradizione dell'autoritratto dell'artista da eroe e l'immagine meccanica dell'arte moderna: ha creato un nuovo modo di pensare alla storia della cultura visuale come storia dell'autoritratto.” (Nicholas Mirzoeff 2017, p. 26) Hyppolite Bayard, Autoritratto da annegato, 1839 - 1840; Gustave Courbet, Autoritratto o uomo disperato (circa 1843) “Il ritratto imperiale dell'era assolutista (1600 - 1800)... raffigurava sia la maestà del sovrano, sia il potere della rappresentazione stessa; d'altra parte, l'autoritratto dell'artista dichiarava che l'arte era un'attività nobile, e non artigianale... L'artista eroe si appropriava di parte dell'aura del re (o della regina) e la trasferiva su di sé.” (Nicholas Mirzoeff 2017, pp. 30-31) Andy Warhol, Self Portrait in Drag (black wig), 1981 - 1982; Self Portrait in Drag, 1980-1982; Man Ray, Marcel Duchamp as Rrose Sélavy, 1920 e 1921 L'io postmoderno. “L'“Io” non sembrava più tanto sicuro. Forse in ogni persona albergava più di un unico io... Mentre l'artista-eroe moderno - uomo o donna che fosse - si limitava a dipingere la propria immagine, l'artista postmoderno faceva di se stesso il proprio progetto primario.” (p. 36) Marcel Duchamp come Rrose Sélavy: "L'implicazione sottesa al ritratto, come a ogni travestimento drag, è che il gender sia una performance. Come il guardare, è qualcosa che facciamo deliberatamente, non è qualcosa di innato e immutabile.” (Nicholas Mirzoeff 2017, p. 37) Cindy Sherman, Untitled Film Still #21, 1978; Untitled Film Still #30, 1979; Untitled #359, 2000 Il male gaze (Laura Mulvey, 1975): “l'uomo nella storia “controlla la fantasia filmica ed emerge come rappresentazione del potere anche in senso ulteriore: come supporto dello sguardo dello spettatore”. Gli uomini guardano l'azione attraverso gli occhi dello spettatore e le donne sono obbligate a fare lo stesso, con una sorta di immedesimazione forzata.” (Nicholas Mirzoeff 2017, p. 39) Madonna, Vogue, David Fincher 1990 - Judit Butler, Questioni di genere, 1990: “Il genere è il significato culturale che assume il corpo sessuato.” Amalia Ulman, Excellences & Perfections, 2014 “Il selfie... è il primo format della maggioranza globale, ed è questo a determinarne l'importanza... A dispetto del nome, il selfie in realtà riguarda i gruppi sociali e la comunicazione al loro interno.” (p. 45) "In termini di contenuto esistono due tipi di selfie. Il primo è una performance per la propria cerchia digitale... Il secondo tipo... è il selfie come conversazione digitale, condiviso tramite applicazioni sul modello di Snapchat.” (Nicholas Mirzoeff 2017, p. 47) Ryan Trecartin, I-be Area, 2007. Versione sottotitolata in italiano “Vi sentite ancora un individuo? Vent'anni fa questa domanda non avrebbe avuto senso. Ora tutti sanno cosa significa... Chiunque abbia superato i 40 anni sa cosa significa individualità classica. Ora è quasi un handicap... state diventando il vostro Extreme Self... e vi sta accadendo mentre leggete queste parole. “Chi, io?” Sì, voi. Una grande parte di voi è stata estratta da voi. Una parte sempre più grande di voi ora esiste ovunque e in nessun luogo. È sia volontaria che involontaria. Esiste indipendentemente dai cinque sensi. Non c'è mai stato nulla di simile prima d'ora. E continuerà anche dopo la vostra morte.” (Shumon Basar, Douglas Coupland, Hans Ulrich Obrist 2021) Lu Yang, Gigant DOKU – LuYang the Destroyer, 2022. Multimedia performance, motion capture dance; Gigant Doku, 2020. Augmented reality app “Aggiorniamo i nostri profili e account social, mettiamo like e reaction, carichiamo foto, tagghiamo, indichiamo la nostra posizione geografica (o lasciamo che sia il nostro dispositivo a farlo automaticamente per noi) condividiamo status, emozioni, pareri e sentimenti nella consapevolezza che tutto questo sarà registrato, archiviato e profilato, con una semplicità sconcertante da immaginare; ciò nonostante, non riusciamo a mettere in discussione o interrompere, neanche per un momento, la nostra esistenza online [...] catturiamo e pubblichiamo database con le nostre movenze, i nostri gesti; concepiamo la nostra persona come serie di dati tracciabili, come corpo rappresentato da un avatar, come serie di coordinate, come oggetto da mettere in vendita digitalmente, come immagine soggetta a deformazioni digitali, come figurina da applicare in una finestrella rotonda, quadrata rettangolare ecc., come meme, come sticker da mandare durante le chat di Instant Messaging.” (Kamilia Kard 2022, pp. 5-7) Eugene Cernan, Ronald Evans e Harrison Schmitt, Blue Marble, scattata il 7 dicembre 1972 dall'equipaggio dell'Apollo 17. Letture consigliate: Nicholas Mirzoeff, Come vedere il mondo, Johan & Levi, Milano 2017; Shumon Basar, Douglas Coupland, Hans Ulrich Obrist, The Age of Earthquakes. A Guide to the Extreme Present, Blue Rider Press, New York 2015 Stewart Brand, Why haven’t we seen the whole Earth?, 1965; Stewart Brand, Whole Earth Catalogue, 1968-1972 Buckminster Fuller: “people perceived the earth as flat and infinite, and that was the root of all their misbehavior.” William Anders, Earthrise, scattata il 24 dicembre 1968 durante la missione Apollo 8. Fuller con una cupola geodesica; Buckminster Fuller, Operating Manual For Spaceship Earth, 1968. Charles Conrad, Apollo 12: Self-Portrait, 1969; Aki Hoshide, Orbiting Astronaut Self-Portrait, 2012 “La Blue Marble del 2012 è costruita in modo da sembrare scattata da un punto specifico e in un momento preciso, ma non è così. L'uso di questa tecnica detta tiled rendering è una consuetudine nella realizzazione di immagini digitali: ed è anche una buona metafora di come visualizziamo oggi il mondo. Lo assembliamo partendo da frammenti, presupponendo che quello che vediamo sia coerente ed equivalente alla realtà. Finché scopriamo che non è vero.” (Mirzoeff 2017, p. 11) NASA, Blue Marble, 2012; Google Inc., Google Earth, dal 2011 Materiali di approfondimento James Bridle, Is Technology Making the World Harder to Understand?, 2019 Godfrey Reggio, Koyaanisqatsi, 1982 Adam Curtis, All Watched Over By Machines of Loving Grace, 2011. Episode 2: The Use and Abuse of Vegetational Concepts Edward Burtynsky, Jennifer Baichwal, Nicholas de Pencier, Anthropocene: The Human Epoch, 2018 Erik Kessels, 24 Hours in Photos, 2011 Letture consigliate: Domenico Quaranta, "A Menu Option. Notes on Post-digital Photography", in Marcella Manni (Ed.) Searching for a New Way. Critical Engagement in contemporary Art Since 2000, Metronom Books, Modena 2017, pp. 103-110; W. J. T. Mitchell, “Realismo e immagine digitale”, in Scienza delle immagini, Johan & Levi, Milano 2018, pp. 59-74; Joan Fontcuberta, La furia delle immagini. Note sulla postfotografia, Einaudi, Torino 2018. Le foto di Abu Ghraib, 2003-2004 “La convinzione che il carattere digitale di un'immagine abbia una relazione necessaria con il significato di quell'immagine, con il suo effetto sui sensi, con il suo impatto sul corpo o sulla mente degli spettatori, è uno dei grandi miti del nostro tempo [...] Invece di rendere la fotografia meno credibile, meno legittima, la digitalizzazione ha provocato una generale “ottimizzazione” della cultura fotografica, tale per cui imitare gli effetti più sofisticati di realismo e ricchezza tipici della fotografia tradizionale è diventato possibile per un numero assai maggiore di operatori [...] L'uso della fotografia digitale è stato indirizzato principalmente... a un approfondimento del referente, non al suo dissolvimento [...] Quello che voglio sottolineare, tuttavia, non è che la digitalizzazione non abbia alcuna rilevanza, ma che questa rilevanza debba essere specificata. Nel caso delle fotografie di Abu Ghraib, l'importanza del digitale non c'entra con “l'aderenza al referente”... ma con la sua circolazione e diffusione. Se le fotografie di Abu Ghraib fossero state analogiche, difficilmente avrebbero potuto circolare come invece hanno fatto [...] Non è tanto “l'aderenza al referente”, allora, a essere messa in pericolo dall'imaging digitale, quanto la possibilità di esercitare un controllo sulla circolazione delle fotografie.” (W. J. T. Mitchell 2018) Thomas Ruff, jpeg ny15, 2007; jpeg ny02, 2004 “Siamo immersi in un ordine visuale nuovo e differente, che appare marcato soprattutto da tre fattori: l'immaterialità e la trasmissibilità delle immagini; la loro moltiplicazione e disponibilità; il loro apporto decisivo nel rendere enciclopedici il sapere e la comunicazione.” (Fontcuberta 2018, pp. 4-5) Penelope Umbrico, 2,303,057 Suns from Sunsets from Flickr (Partial) 09/25/07, 2007. 2,000 chromogenic machine prints. Installation view at Gallery of Modern Art, Brisbane, Australia 2007 La postfotografia. “Non stiamo assistendo alla nascita di una tecnica, ma alla trasmutazione di alcuni valori fondamentali. La sua carcassa rimane intatta, è la sua anima che si sta trasformando, in una sorta di metempsicosi. Non siamo quindi in presenza dell'invenzione di un procedimento, ma della demolizione di una cultura: lo smantellamento di quelle modalità visive che la fotografia ha imposto in maniera egemone per un secolo e mezzo [...] la fotografia... sembra essere stata fagocitata. E questa faglia si è resa invisibile perché chi la pratica non si è accorto del cambiamento e continua a chiamare fotografia ciò che fa.” (Fontcuberta 2018 pp. 23-24) Constant Dullaart, Jennifer in Paradise, 2013-14 “La fotografia digitale è l'ultracorpo della fotografia. Arrivata silenziosamente nella seconda metà del XX secolo, la fotografia digitale ha sostituito con discrezione la sua controparte analogica, riaffermando continuamente la stessa promessa: essere la stessa cosa, solo migliore. Nel corso degli anni, la fotografia digitale ha mantenuto la sua promessa in toto e per tutti, correggendo perfettamente il suo modello, adottando la sua funzione sociale e persino mantenendo quello che Roland Barthes chiamava il suo “noema”. Come i replicanti del film, la fotografia digitale non vuole essere nulla di diverso da ciò che la fotografia è sempre stata, e probabilmente continuerà ad apparire tale a chi, come gli increduli interlocutori del protagonista del film, si rifiuta di prendere atto della realtà, preferendo pensare che siamo di fronte a una naturale evoluzione degli strumenti, o che stiamo semplicemente accelerando lo sviluppo tecnologico di un mezzo - la fotografia - che, fin dalla sua nascita, non ha mai smesso di evolversi [...]. ...] Tuttavia, come gòi ultracorpi sono radicalmente diversi dagli esseri umani, così la fotografia digitale è radicalmente diversa dal suo modello analogico. La differenza non è nell'apparenza, che è perfettamente replicata: ma nella sostanza delle due entità [...] La sostanza profonda dell'ultracorpo della fotografia sta nel suo essere digitale, e in tutto ciò che questo implica in termini di produzione, post-produzione e circolazione dell'immagine fotografica.” (Quaranta 2017) Eva & Franco Mattes, The Others, 2011. A 137 min. video slideshow of 10,000 photos appropriated from people’s personal computers, without their knowledge. Installed at HEK, Basel; Personal Photographs, 2019. Installed at Kunstverein Wiesbaden. James Bridle, Dronestagram, 2012-15 Trevor Paglen, Machine Readable Hito, (detail), 2017, adhesive wall material, 193 x 55 1/8 inches, 490.2 x 140 cm Letture consigliate: Trevor Paglen, “Invisible Images (Your Pictures Are Looking at You)”, in The New Inquire, December 8, 2016. Harun Farocki, War at Distance, 2003 Operational images: “Il termine “operational image” o “operative image” è stato coniato dal regista di origine cecoslovacca Harun Farocki intorno al 2000. Nei suoi documentari sperimentali, nelle videoinstallazioni e negli scritti teorici Farocki si è concentrato sulla politica dell'immagine, soprattutto nel contesto militare-industriale. Le immagini operative sono immagini che non raffigurano o rappresentano, non intrattengono o informano, ma tracciano, navigano, attivano, sorvegliano, controllano, visualizzano, rilevano e identificano. Le immagini operative sono strumenti che svolgono compiti e funzioni nell'ambito di un'operazione. La famiglia delle immagini operative comprende varie tecnologie e processi di imaging che tipicamente accoppiano telecamere o sensori con qualche tipo di software di elaborazione delle immagini: veicoli aerei senza pilota, automobili autonome, robot industriali e domestici, imaging medico (scanner MRI, CT o CAT), scanner industriali e CCTV, sistemi di informazione geografica (mappe e navigazioni digitali) e molti altri esempi di sistemi visivi principalmente automatizzati che aprono la questione delle immagini per estendersi a tecnologie visive non destinate all'intrattenimento.” Trevor Paglen, Classifications of Gait, 2020. Pigment print, 121.9 cm × 121.9 cm. “Nell'ultimo decennio circa, è successo qualcosa di drammatico. La cultura visuale ha cambiato forma. Si è distaccata dagli occhi umani ed è diventata in gran parte invisibile. La cultura visuale umana è diventata un caso speciale di visione, un'eccezione alla regola. La stragrande maggioranza delle immagini è ora realizzata da macchine per altre macchine, con gli esseri umani raramente coinvolti. L'avvento della visione da macchina a macchina è stato a malapena notato in generale e scarsamente compreso da quelli di noi che hanno iniziato a notare il cambiamento tettonico che sta invisibilmente avvenendo sotto i nostri occhi.” (Paglen 2016) Trevor Paglen, The Standard Head, 2020, Sculpture, lacquered foam, 180 cm × 120 cm × 98.1 cm; sullo sfondo, una delle immagini della serie Bloom, 2020. “se vogliamo comprendere il mondo invisibile della cultura visiva delle macchine, dobbiamo disimparare a vedere come esseri umani. Dobbiamo imparare a vedere un universo parallelo composto da attivazioni, punti chiave, eigenface, trasformazioni di caratteristiche, classificatori, training set e così via. Ma non si tratta solo di imparare un vocabolario diverso. I concetti formali contengono presupposti epistemologici, che a loro volta hanno conseguenze etiche. I concetti teorici che utilizziamo per analizzare la cultura visiva sono profondamente fuorvianti quando vengono applicati al territorio delle macchine, producendo distorsioni, vasti punti ciechi e interpretazioni fuorvianti.” (Paglen 2016) Trevor Paglen, An Angel (Corpus: Spheres of Heaven) Adversarially Evolved Hallucination, 2017; Man (Corpus. The Humans) Adversarially Evolved Hallucination, 2017. “Non guardiamo più le immagini - sono le immagini a guardarci. Non si limitano più a rappresentare le cose, ma intervengono attivamente nella vita quotidiana. Dobbiamo iniziare a comprendere questi cambiamenti se vogliamo sfidare le eccezionali forme di potere che fluiscono attraverso l'invisibile cultura visiva in cui ci troviamo immersi.” (Paglen 2016) Xcopy, Cracked, 2019 Letture consigliate: Domenico Quaranta, Surfing con Satoshi. Arte, blockchain e NFT, Postmedia Books, Milano 2021. Altri testi di approfondimento: https://surfingwithsatoshi.mirror.xyz/ Dustin Steller, Attractive Student, 2005. ”Parked Domain Girl“ meme; Parker Ito, The Most Infamous Girl in the History of the Internet, 2010; Parked Domain Girl card su Opensea. Rafael Rozendaal, Art Websites Sale Contract, 2011-2014; Websites, 2001-2019 Beeple, Everydays. The First 5,000 Days, 2021. JPG. Venduto l’11 marzo 2021 da Christie’s a metakovan per 23.252,841 ETH (69.346.250,00 $); Noah Davis, head of digital art a Christie’s; Vignesh Sundaresan, co-fondatore di Metakovan; Justin Sun, fondatore della piattaforma TRON “il mercato dell'arte ha scoperto una nuova generazione di collezionisti, mentre gli artisti di tutto il mondo hanno scoperto un modo per commercializzare le loro opere che aggira il vecchio sistema dei mercanti d'arte.È difficile prevedere quali saranno gli sconvolgimenti a lungo termine causati da questo codice.Ma nel 2021, tutti i vecchi presupposti del mercato dell'arte e della cultura artistica sono stati gettati in un'incertezza caotica e creativa.” Art Review Power 100 2021 Una blockchain è un database o libro mastro digitale, distribuito tra tutti i nodi di una rete peer-to-peer, le cui voci sono raggruppate in "blocchi", identificati da un codice unico (hash), collegati in ordine cronologico (time stamping) e validati tramite consenso distribuito, la cui integrità è garantita dall'uso della crittografia. Questo sistema rende praticamente inalterabile sia la posizione del blocco nella catena sia il suo contenuto.
Bitcoin permetteva solo di memorizzare semplici dati nel database, e consentiva un'implementazione limitata di programmi. Ethereum, lanciata nel 2014, è invece Turing-completa e quindi programmabile. Questo ha permesso l'introduzione degli “smart contract”, (contratti intelligenti), programmi informatici registrati sulla blockchain (e quindi non modificabili) destinati a eseguire, controllare o documentare automaticamente eventi e azioni legalmente rilevanti secondo i termini di un contratto o di un accordo. Una delle tante cose che uno smart contract può regolare è lo scambio e la proprietà di gettoni non fungibili (NFT). Un bene “non fungibile” è qualcosa di unico, che non può essere scambiato con nient'altro e non può essere usato come valuta. Un token non fungibile (NFT) è un token crittografico registrato su una blockchain che rappresenta un bene digitale (o fisico) "non fungibile" e ne consente lo scambio in modo sicuro.
Kayvon Tehranian, How NFTs are building the internet of the future, TEDMonterey | August 2021 La funzione degli NFT secondo Colborn Bell, crypto-investitore e fondatore del Museum of Crypto Art L'ascesa e il crollo degli NFT d'arte sulle principali piattaforme secondo Cryptoart.io La “top 10” degli artisti con le quotazioni più alte secondo Cryptoart.io Tipologia di asset venduti tramite NFT nel primo semestre 2021 secondo Nonfungible.com Livelli di prezzo degli NFT venduti nel corso del 2021 secondo Nonfungible.com Gli NFT hanno cambiato il mondo dell'arte? Se si, in che modo? “Gli NFT hanno già trasformato il mondo dell'arte, indipendentemente dal fatto che il boom continui o meno.” Hans Ulrich Obrist, dicembre 2021 “I collezionisti non comprano un'immagine digitale (o, piuttosto, un token che punta a un'immagine digitale) che funziona come un quadro discreto, come un “oggetto digitale”. Il pubblico NFT più coinvolto è alla ricerca di una storia, di un ciclo di successo sulle cui fluttuazioni può scommettere... le persone che vogliono investire denaro in questi oggetti sono alla ricerca di una narrazione costante per mantenere alto il prezzo. È necessario un impegno continuo.” Ben Davis, August 2022 “Lo sfruttamento, la speculazione e una persistente preoccupazione per lo spreco e l'avidità persisteranno nel settore, poiché queste qualità sono parte intrinseca della scena cripto... Gli artisti e gli attivisti possono svolgere un ruolo importante nel continuare a utilizzare le vendite di NFT per un cambiamento sociale positivo e nel reindirizzare il denaro verso luoghi in cui è necessario... Ciò che esiste qui non è una terra desolata, ma una battaglia per un nuovo tipo di beni comuni. Se il campo viene abbandonato ad attori avidi e discutibili, la critica aspra agli NFT come un inutile spreco diventerà una profezia che si autoavvera.” Michelle Kasprzak, March 2022 “Coloro che cercano un mondo dell'arte alternativo dovrebbero trovare un incoraggiamento nell'arte NFT: è possibile costruire qualcosa di diverso che si sostenga da solo, anche se è scoraggiante che la finanziarizzazione sia probabilmente necessaria per farlo in un mondo capitalista.” Brian Droitcour, September 2022
Approfondimento: The Byzantine Generals Problem, mostra online, distant.gallery (a cura di Domenico Quaranta). |
Copyshamelessly, Domenico Quaranta 2022 |