Let Me Feel You Streaming

a cura di Michela De Carlo
con la collaborazione di Domenico Quaranta

Nel corso dell'ultimo anno, la città è diventata soprattutto una città di case. In maniera crescente, percepiamo lo spazio pubblico come lo spazio in cui siamo costretti a indossare la mascherina, a fare la fila, a mantenere le distanze. Ci scambiamo sorrisi imbarazzati mentre ci diamo goffamente di gomito, ed è, a seconda dei casi, con imbarazzo, preoccupazione o astio che guardiamo l'altro quando si avvicina troppo, quando non porta la maschera, quando ci tocca. Lo spazio pubblico è diventato il luogo del non si può, sottolineato da opportuni indicatori visivi: percorsi tracciati al suolo, nastri attorno a fontane e panchine, cartelli "seduta non utilizzabile", "non più di due persone alla volta", ecc. La socialità è diventata assembramento, il tatto il più dileggiato dei sensi.
Per converso, i nostri spazi domestici hanno incorporato alcune delle caratteristiche dello spazio pubblico. Collegate tra loro da una rete di comunicazioni invisibile, le nostre case sono diventate luogo di trasmissione e di ricezione, l'unico luogo dove è ancora possibile il contatto. La casa è l'ufficio la scuola la palestra il cinema il concerto il ristorante il museo la sala giochi. È l'unico luogo in cui possiamo vedere, tutto intero, il volto delle persone che amiamo e di quelle con cui dobbiamo relazionarci per motivi di studio o di lavoro. La metafora visiva della nuova socialità è l'interfaccia di una video call: tanti rettangolini riuniti sullo schermo, vicini eppure inesorabilmente separati. Insieme, ma soli. Chissà quanto durerà. Chissà quanto ci impiegherà a cambiarci in modo permanente.

Let Me Feel You Streaming è una mostra online di lavori recenti realizzati da studenti delle Accademie di Belle Arti di Brera (Milano) e di Carrara, che riflettono in modi diversi la dimensione emotiva scaturita dal social distancing e dal confinamento online delle relazioni sociali e sentimentali. Attraverso video essay, machinima, unboxing, siti web, ambienti di chat VR, filtri e sticker, la mostra esplora la mancanza di contatto e i sentimenti di ansia, impotenza, fragilità, vertigine che genera, e propone soluzioni per riscaldare la comunicazione a distanza e rafforzare le possibilità di incontro ed empatia offerte dai mezzi digitali.
Cristina Angeloro ci parla dell'impatto psicologico dei social media sfruttando le potenzialità del genere ASMR (il cui audio binaurale induce piacere e rilassamento) per recuperare la sensazione del tatto perduto. Con il suo mondo virtuale, Marco Ginex offre una via di fuga nella dimensione della leggenda e una possibilità di cambiare tempo, spazio e identità. Le narrazioni, la dimensione del fantastico sono del resto un luogo di rifugio ideale quando la realtà ci sfugge di mano - ma offrono anche uno strumento per raccontare il nostro disagio e riflettere criticamente sul mondo che ci circonda. A Noemi Capoccia, l'immaginario cinematografico dell'amore offre l'occasione per parlare dell'amore a distanza ai tempi del Covid-19; a Christina G. Hadley, l'iconografia dell'alieno dà l'opportunità per riflettere sul nostro rapporto con l'altro, in- e inter-specie; i filtri AR di Martina Ferrario esplorano un immaginario fantasy intriso di memento mori. In altri casi, i filtri di Instagram diventano occasione di affermazione e resistenza, personale e collettiva: come per Carla Rossi, che ci invita all'amore e alla consapevolezza di sé, o per Laura Tura, che risponde all'inedia del confinamento e esplora un'estetica fondata sull'ibridazione col mondo naturale.
Del resto, la fuga non sempre è possibile, e i nostri fantasmi finiscono per perseguitarci anche nei luoghi di rifugio nell'altrove per eccellenza, i videogame. Fabio "Nino" Ronchieri scopre e esplora la fine del tempo storico in un gioco del ciclo di Spiderman; costretta per ore davanti al computer, Lisa Buffagni cerca e trova se stessa nel fondo dell'occhio della macchina, l'unico che risponde realmente al suo sguardo nella quotidianità del confinamento.
Ormai mediatore quasi unico di socialità, generatore di prossimità e di togetherness, seppur evoluta dai tempi in cui l'emotività passava attraverso astruse combinazioni di segni :-( la macchina non è mai sufficientemente "calda" per generare empatia e farci sentire umani. L'impegno a riscaldare il flusso della comunicazione accomuna molti dei lavori presenti in questa mostra, ma è centrale in quelli di Ariele Giari, che crea sticker per gli ambienti di chat strumentali a rafforzare un senso di sorellanza in un linguaggio ancora inesorabilmente maschile e patriarcale, e in quello di Maria Chiara Gagliardi, i cui appuntamenti di disegno collettivo ci fanno sperimentare l'emozione di due cursori che si toccano, e insistono sull'urgenza e la necessità del fare insieme: un fare che può essere, come in questo caso, anche un progettare o un ri-progettare - la città, per esempio.

La mostra è curata dalla prof.ssa Michela De Carlo (Accademia di Brera) in collaborazione con il prof. Domenico Quaranta (Accademia di Carrara).